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Il soffio del ricordo

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Il vento fortissimo sembra essere il padrone incontrastato di Parigi, i viali sono pressoché deserti, anche gli alberi che da sempre li abitano sembra si vogliano sradicare e fuggire via. Quel che riescono a fare è solo flettersi paurosamente verso il terreno, agitare le chiome e gemere senza sosta. Fra le rade auto che si azzardano a percorrere le strade c’è una lunga e antiquata limousine nera, procede cauta flagellata da rami spezzati, fogli di giornale, tende strappate da chissà dove. Imbocca con un rombo sommesso Rue…. e si arresta quasi con un sospiro di sollievo di fronte al numero 26. Ne scende un giovane in livrea, il cappotto coi bottoni dorati ben serrati sino al collo, con una mano tiene fermo sulla testa il cappello che non riesce a contenere completamente la massa di capelli rossicci che iniziano ad agitarsi al vento e sembrano voler fuggire dal chepì scuro. Nell’altra mano il ragazzo ha una borsa rettangolare e piatta, di cuoio scuro, chiusa da due pesanti fibbie d’ottone; osserva i nomi sui campanelli e ne pigia deciso uno. Dopo qualche istante il portone si apre e il giovane può finalmente ripararsi dal vento, nell’androne semi buio e silenzioso. Sale la breve rampa di scale e con un vago sorriso apre la porta dell’ascensore. Si chiude nella gabbia di ferro e inizia a salire. Giunto a destinazione emerge dalle porte di metallo e bussa al portone che si trova di fronte. Scruta l’uomo che gli apre come se potesse trovare qualche traccia del suo nome nelle line del volto, si schiarisce la voce ed esclama “Devo consegnare una lettera al signor marchese Robert de Saint Loup en “Bray.” Aggiunge “siete voi, signore?” “No, non sono io, ma puoi dare la lettera a me, gliela consegnerò appena mi sarà possibile.” Il ragazzo apre la borsa e consegna la lettera. “Bene, i miei rispetti, signor…” “Morel, Charlie Morel, grazie a te, buon pomeriggio.” “Addio signor Morel.” Rientra nell’ascensore e sparisce ai piani inferiori. Morel rientra in casa, posa la busta sul coperchio del pianoforte e osserva la stanza in cui si trova. Tutti i mobili sono coperti da drappi bianchi, anche i lampadari sono chiusi in spessi sacchi di cotone grezzo, solo il pianoforte, addossato alla parete e scoperto e perfettamente lucidato. Su di esso un grande mazzo di tuberose colma l’atmosfera di una attesa calda e sensuale. Un divano è addossato alla parete, sulla quale le impronte dei quadri sembrano orbite vuote. Nello spazio lasciato libero dal divano, reso evidente dalla scoloritura del tappeto, sono posate due valige, una borsa ed un ombrello. Sulla parete in fondo alla stanza due porte, una socchiusa e l’altra, aperta, lascia indovinare una camera da letto. Un grande finestra coperta da leggere tende di tulle bianco illumina la stanza. Morel si siede al piano e inizia a suonare, dopo qualche minuto una delle porte si apre e appare sulla soglia un uomo abbigliato di una stoffa morbida e biancastra, di un tipo che raramente è dato vedere. Si ferma rapito ad ascoltare. Morel percepisce la presenza dell’uomo da una variazione dell’atmosfera, mentre le note del pianoforte sembrano il canto di una fenice che desideri liberarsi della necessità del fuoco. “Robert. Alla fine sei arrivato.” Si interrompe di colpo e le note che fino a quel momento riempivano l’aria della stanza sembrano scivolare tintinnando al suolo come una sottilissima lastra di cristallo andata in frantumi. Morel si alza, prende la lettera e la porge a Robert. “Ecco sei qui per questa, vero?” “Anche, per questa.” Lo corregge Robert mentre dissuggella la busta e legge svelto il biglietto che contiene. Morel si avvicina a Robert, lo abbraccia e le loro bocche si uniscono in un bacio appassionato. “Quanto ti ho cercato, Charlie, ho sfidato le linee nemiche con un coraggio che non mi riconoscevo per trovarti. Ma ogni volta sembrava che tu fossi appena andato via. O in procinto di arrivare ma che qualche fastidioso contrattempo ti impedisse di essere puntuale al nostro appuntamento.” “Sì, lo so Robert, e alla fine quello che non è giunto all’appuntamento sei stato tu.” Si stacca qualche centimetro da Robert e sfiora i buchi delle pallottole che punteggiano l’abito. Poi con un sospiro sfila la giacca dalle spalle di Robert, disfa il nodo della cravatta e con una calma solo apparente lo spoglia completamente, lo prende per mano per condurlo in camera da letto. Robert è piuttosto lento nel muoversi, forse stupefatto, o forse vuole frenare un’irruenza che sente nascergli nel petto. Anche qui tutti i mobili sono avvolti da drappi bianchi, solo quelli sui tavolini accanto al letto sono color malva, il letto, invece è completamente libero, perfettamente ed elegantemente abbigliato di morbida fiandra ricamata. Robert si stende sul letto mentre Charlie veloce si libera degli abiti poi si stende accanto all’amico. Il corpo di Robert è bianchissimo, nei punti in cui è stato trapassato dalla baionetta del nemico addirittura trasparente. Le labbra sono esangui, solo gli occhi lampeggiano dardi azzurri. Charlie abbraccia Robert, si baciano appassionati, iniziano ad amarsi con veemenza, un trasporto che ha l’intensità dell’ineluttabile screziato dalla consapevolezza che di lì a poco potrebbe non accadere più niente. Le membra di Robert diventano estremamente agili e sciolte, la pelle acquista un bel colore rosato, punteggiato di carminio qua e là, dove le attenzioni di Morel si sono fatte più decise. Fuori della stanza il vento si è fatto ancora più forte, si sentono persiane sbattere e comignoli ululare, dalle finestre filtra un lucore biancastro; i due amanti non se ne curano, esistono solo loro, al di là di tutte le epoche, tutte le dimensioni, dimentichi di pettegolezzi e fatti cruciali. Il loro orgasmo arriva prepotente e simultaneo, nello stesso istante un forte bagliore e un tuono fortissimo rubano il loro urlo di piacere. Appena i loro cuori si acquietano cadono in un breve sonno, Charlie è il primo a risvegliarsi, di soprassalto, allunga la mano e nel sentire il corpo di Robert ancora accanto al suo ha un sorriso di sollievo, spontaneo e che lo riempie di gioia. Percorre con un dito la linea che dalla fronte scivola verso la punta del naso, si ferma sull’estremità e sussurra in un sorriso, “il celebre profilo Guermantes.” Robert bofonchia nel sonno, poi lentamente il celeste del suo sguardo sembra risorgere da luoghi lontanissimi. “Si sta facendo tardi Charlie.” “Hai sempre preferito il piccolo Marcel, vero?” “Ma no, ma cosa dici, tu piuttosto non lo hai mai sopportato, perché?” “Mah, forse perché era sempre lì con quel suo sguardo pensoso che sembrava riandare a mio padre, che lui conosceva bene, per rinfacciarmi le mie origini.” “Io non credo abbia mai voluto farlo, forse era semplicemente curioso. Sai come amava capire il profondo delle persone.” “Sì, credo di sì, ma insomma lui sapeva un sacco di cose di me, e sembra che poi le abbia anche raccontate in giro, insieme ad un sacco di fandonie su tutte le persone più in vista di Parigi.” “Fandonie non direi, lui ha saputo, come nessuno, vedere l’animo delle persone, capire cosa albergava nel petto di ciascuno. È riuscito ad andare molto oltre titoli, dinastie e, perché no, gusti…” Guarda Morel e lo bacia affettuosamente sulla bocca, le loro lingue si inseguono per qualche momento mentre fuori il tuono brontola sommesso. Da lontano giungono i battiti di un campanile. “Il tempo corre mio caro Charlie. Ma insomma, alla fine non ci siamo trovati al fronte ma so che tu ti sei distinto.” “Inizialmente non tanto.” Ridacchia Morel. “Ma poi per non fare la figuraccia del disertore e per via di certi giri di persone sono stato inviato al fronte e pensa un po’, quella famosa onorificenza che il tuo caro zietto Palaméde voleva farmi avere per certi servizi, ehm… poco eroici, o…”  Saint loup. “O, vista la sua mole forse ancor più eroici…” “Ma dai non essere crudele… Insomma, la croce di guerra alla fine l’ho avuta proprio al fronte.” “Forza, dobbiamo alzarci” Saint Loup si alza, scosta i drappi da un armadio, apre le ante per prendere l’abito da indossare. Morel nel frattempo si veste rapidamente e torna nell’altra stanza, imbraccia il violino. Inizia a suonare, dalla camera da letto gli giunge la voce di Saint Loup: “ah la piccola sonata… diavolo di un Vinteuil ne ha fatti di disastri con la sua musica. Una musica che ha accompagnato tanti bei momenti, le feste, le serate scintillanti, vero Charlie, come eravamo allegri e quanta vita pensavamo di avere davanti a noi.” Morel non risponde, è assorto nella musica e non bada a frenare le lacrime che gli scorrono sulle guance. “Eccomi!” Esclama Saint Loup entrando nella stanza con la divisa da ufficiale addosso. “Un attimo.” Charlie torna nella camera da letto a vestirsi. Dopo qualche attimo torna accanto a Saint Loup. “Ti manca una cosa…” Mette la mano nella tasca e la riapre davanti gli occhi attoniti di Saint Loup. “Ecco la tua croce di guerra, pensavi di averla persa, ma io l’avevo trovata.” Gliela appunta al petto e lo bacia sulla fronte. Sentono bussare alla porta, Charlie apre e fa entrare monsieur Aimé. “Buona sera signori. Ma cosa fate al buio?” Accende una lampada. “Signor Marchese l’auto la attende, andiamo.” Saint Loup si getta il mantello sulle spalle, calza il berretto si volta verso Morel al quale rivolge il saluto militare a Morel, i loro occhi sono fusi in una lacrima, poi l’incantesimo si scioglie. Addio Charlie, grazie…” si confonde, lo sguardo gli si vela di un indistinto colore grigiastro. Poi tornano fulgidi. “Addio Charlie. Andiamo Aimé.” I due escono dalla stanza, Aimé si chiude delicatamente la porta alle spalle. Dopo qualche minuto, Morel, da dietro la finestra chiusa guarda la strada ormai buia, una pioggia battente cade formando lunghe striature sui vetri. Le leggere tende mosse dagli spifferi della finestra lo accarezzano dolcemente, Morel se ne lascia avvolgere. Tra le volute mobili del tulle gli giunge una voce familiare. “Se n’è andato?” Nel lento movimento le tende gli rivelano la figura di una donna al suo fianco. “Sì, questa volta temo per sempre. Ma tu, Albertine non sei stata invitata?” “No, Charlie. So che ha quel dannato biglietto ancora in tasca, potrebbe ancora farmelo recapitare ma sa troppo bene che io sono pronta a tornare e questo mio essere qua per lui, ad aspettare un suo cenno, lo rende quasi insensibile a me. Allo stesso se io andassi ora da lui gli sarei indifferente. Egli mi ama solo nel mio essere irraggiungibile. Così io devo restare un fulgido astro incatenato in una eterna fuga.” Charlie apre la finestra e rapidamente trae a sé le persiane, richiude con cura la finestra, poi accosta anche gli scuri, si infila il cappotto. Albertine indossa il suo mantello Fortuny più bello, prende la mano di Morel e le aquile dei loro anelli per un istante guizzano nella luce per pochi istanti. Morel si infila il cappotto, calza il cappello raccoglie la sua valigia e il violino e spegne la lampada. La stanza rimane nell’oscurità per qualche istante, fino a che Morel apre la porta e la luce del pianerottolo disegna un rettangolo d’oro sul tappeto della stanza. Albertine lo percorre con le sue scarpe di raso, senza emettere alcun suono. Guarda Morel che l’attende per chiudere la porta, Albertine accosta l’indice al naso nel segno di chi richiede silenzio e si ferma. Charlie in un attimo capisce, si tocca la tesa del cappello e chiude la porta. Albertine ascolta le mandate del catenaccio, poi l’ascensore sferragliare e infine si lascia cadere su di una poltrona.

 

 

racconto pubblicato nell'antologia proustiana 2019 "Una notte magica"

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